Introduzione tenuta da Salvatore Resca: “…PER UNA CITTÀ DIVERSA”

La prima cosa che dobbiamo sottolineare questa sera è un risultato: quello di trovarci insieme tanti soggetti, tanti individui, tante persone, tanti movimenti per parlare, per interessarci della nostra città.

Non contro i partiti se non quando ce n’è bisogno, credo, ma al di fuori dei partiti.

La “società civile”, i cittadini in quanto tali, hanno non solo il dovere, ma anche il diritto di contribuire politicamente alla vita pubblica, all’amministrazione, al buon governo della città.

L’organigramma politico di una comunità prevede la politica attiva all’interno di un partito.

Ma è anche necessaria la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica attraverso il controllo della amministrazione: il controllo diretto, organizzato, attento, con esclusione di qualsiasi delega.

Un controllo che, se si attua periodicamente attraverso il voto, non esclude anzi esige una partecipazione che corregga orienti e stimoli l’azione amministrativa.

Diciamolo chiaramente.

Questo non piace ai partiti : né a quelli di opposizione né a quelli di governo.

Non è facile trovare orecchie attente alle esigenze dei cittadini che navigano al di fuori delle logiche di potere e di spartizione, dell’opportunismo, della mediazione propria dei politici di professione.

Ecco perché trovarci qui è importante e fondamentale per la nostra città.

Non è stato facile.

Anche la società civile si lascia irretire a volte dal fascino della ideologia e dalle logiche della appartenenza.

Nel pieno rispetto delle diversità a noi dovrebbe soprattutto interessare il buon governo della città: un governo che metta al centro degli interessi degli amministratori le persone concrete, le situazioni concrete, i bisogni concreti, non la lottizzazione, il favoritismo, il clientelismo, gli accordi sottobanco, l’arricchimento dei singoli, con la conseguente ricerca, ad ogni costo, del consenso.

Lo sappiamo: tutto questo si colora di utopia.

Qualcuno di noi si è illuso dieci anni addietro che nella nostra città ciò fosse se non in tutto, almeno in parte possibile.

Speravamo in politici onesti, disinteressati, posti al servizio della gente.

Oggi non si spera più nemmeno questo.

Il clima è cambiato; non solo nella prassi politica: basta pensare alla legge Cirami ed alla commissione parlamentare su Tangentopoli, ma, purtroppo nella coscienza delle persone: fino a qualche anno fa si riusciva a percepire la disonestà del politico, il suo affarismo, mentre oggi invece sembrano che si goda del contrario e, nellal speranza di goderne i frutti si vota chi trasforma in legge l’illegalità e il sopruso in diritto.

Nonostante tutto questo noi siamo qui.

Nonostante Berlusconi siamo qui.

Nonostante Scapagnini, siamo qui.

Nonostante D’Alema siamo qui.

Per interrogarci sullo stato della nostra città, sui suoi problemi, sulla attuale amministrazione che prima di essere giudicata da noi o dalla gente, viene pesantemente messa in crisi dal suo interno. La voce non sospetta di Enzo Trantino, qualche tempo fa la dipingeva come, “al di sotto del disastro”; un partito di governo, l’UDC, sulle pagine del quotidiano “La Sicilia” del 16 ottobre 2002 ne illustrava lo stato in questi termini: confusione, mancanza di scadenze, licenziamento in tronco di assessori, opacità amministrativa, periferie abbandonate, servizi a livelli infimi, sproloqui di soggetti smaniosi di pubblicità, sbandieramento di iniziative mai iniziate, estemporaneità di interventi, programmazione fantasma…

Scavone, Sudano, Mancuso, Pulvirenti, uomini della maggioranza di governo della nostra città hanno detto e scritto queste cose.

E sulla “confusione” ritorna lunedì 3 febbraio Raffaele Lombardo che non fa parte (almeno per ora all’opposizione).

Una confusione alimentata dalle continue scissioni e frammentazioni.

Ultima, due giorni addietro, la creazione del “Centro Indipendente”, Lipera, Maravigna e Scaringi, che abbandonano la Casa delle libertà pur ribadendo il pieno appoggio alla Giunta Scapagnini.

Ribaltoni e ribaltini i cui significati sfuggono ai più.

Bisognerebbe conoscere a quali interessi rispondono, a quali trattative si ispirano, a quali imbrogli si richiamano.

Non è semplice decifrare l’ingarbugliato e crittografato linguaggio dei politici: ma ci viene il sospetto che le critiche provenienti a questa amministrazione dal suo interno si riferiscano non solo alla sua inefficienza ma alle contraddizioni legate al rapporto che la politica intrattiene con i poteri forti di questa città.

Ma al di là delle parole e del malcontento diffuso e generalizzato in città persino ed anche fra gli elettori del sindaco Scapagnini, parlano i fatti.

Per quanto sia patetico il tentativo, anno per anno ripetuto, di minimizzare il valore della indagine sulla vivibilità delle città italiane realizzata dal Sole ventiquattr’ore, Catania si ritrova al terzultimo posto, centesima su centotré città, seguita solo da Taranto e da Foggia, ultima ed in compagnia, del resto di tutte le altre città della Sicilia e del Sud.

Sì, abbiamo il sole, abbiamo il mare, abbiamo (avevamo?) l’Etna, abbiamo l’intelligenza, la cordialità delle gente, lo diceva anche l’arcivescovo Bommarito per seminare ottimismo… che vogliamo di più?

Varie le reazioni di alcuni personaggi suul’indagine del sole 24 ore:

Antonio Presti, (che sta lavorando a Librino, certo non perché ci vive bene, ma per riscattare questa città nella città) scrive che non crede a questo tipo di indagine, per lui è strano che il Nord sia sempre ai primi posti.

Ma se ha scelto di intervenire a Librino è unico sul piano nazionale, è perché ancora le nostre periferie non sono cambiate, e restano sempre città di serie b.

Pippo Pattavina: “Amo questa città, ho scelto di viverci, ma la trovo sporca, chiassosa, degradata. Mi fa rabbia. Non c’è organizzazione da parte delle autorità: il traffico insopportabile, le bancarelle che fanno di Catania un grosso Paese”.

Indignatissima Marella Ferrera. Catania è allo sfacelo: una città che allestisce decorazioni stradali per Berlusconi che due ore dopo vengono smontate: E’ teatro!, Catania è una città che non riconosco.

Visualizziamole, le conoscete tutti, queste indicazioni del Sole 24 ore.

Sono dati. Discutibili se volete. Ma possono costituire un punto di partenza per le nostre riflessioni, le nostre denunce, le nostre proposte.

Dicevamo: Su 103 città Catania è al centesimo posto. Insieme a Messina, seguita dai fanalini di coda: Foggia e di Taranto.

Ed in particolare:

· al 95° per la ricchezza prodotta accanto a Catania, Reggio Calabria e Foggia, ultima Crotone;

· all’86° per i risparmi allo sportello;

· al 92° per il reddito pro capite, accanto a Trapani e Oristano;

· al 72° posto per numero di processi arretrati;

· al 99° per la validità dell’ecosistema urbano;

· al 71° per numero di posti letto in day hospital

· all’81° per la criminalità minorile, uno dei mali endemici della nostra città; stavolta è Enna che detiene il primato per la assenza di microcriminalità: solo 1,93 punti in confronto ai 9,49 di Catania.

· E, dulcis in fundo, al 94° per numero di persone in cerca di lavoro, in compagnia di Enna e Messina

FIN QUI I DATI OGGETTIVI”.

Sarebbe interessante (vedi “La Sicilia” di venerdì 24 e di sabato 25 gennaio) approfondire le recenti polemiche sul “fiore all’occhiello” della industria catanese, l’ETNA VALLEY.

Sembra che non se ne vada a Singapore, almeno per ora.

Ma sentite cosa risponde a Elvira Seminara che la intervista, una dipendente dell’azienda, Cristina Di Gesù.

Alla domanda: “Lavorando qui a Catania lei si sente in Europa? La Di Gesù risponde: “Dentro l’azienda sì, perché parliamo un alfabeto internazionale, ma quando cammino nel caos di Catania, oppure chiedo un servizio pubblico, mi sembra di essere in Africa.

La Sicilia di venerdì 31 gennaio titola: Allarme dei sindacati. A rischio elettronica, telefonia, agroalimentare, carpenteria.

La mappa delle aziende a rischio è ampiamente descritta sulla stessa prima pagina.

Evidentemente la regione respinge le accuse, ma Assindustria insiste.

NON C’È DUBBIO :I CATANESI, IN QUESTO MOMENTO, NON HANNO UNA IMMAGINE POSITIVA DELLA LORO CITTÀ.

Forse più che ad ognuno di noi, perché credo che quelli che siamo qui, questa sera, bene o male riusciamo a sbarcare il lunario, perché abbiamo un lavoro garantito, una sopravvivenza, bene o male, assicurata, una casa riscaldata, un auto con cui muoverci in una città dal traffico immobilizzato… forse più che a noi bisognerebbe chiederlo a chi con una famiglia sulle spalle ha perso il posto di lavoro, alla signora che dalla periferia deve andare alla fiera nel tentativo di risparmiare qualcosa e aspetta per ore un mezzo pubblico che la riporti a casa, all’anziano, al portatore di handicap, al tossicodipendente che è abbandonato dai servizi sociali, al concittadino dei quartieri periferici esposto ai ricatti della microcriminalità, (vedi inaugurazione anno giudiziario) al commerciante che ormai paga il pizzo senza più chiedersi il perché.

Bisogna chiederlo alle decine di persone che ogni giorno bussano alla porta della chiesa dove io mi trovo, (non parlo degli extracomunitari, anche quelli), parlo di catanesi, ben vestiti, timidi, pieni di vergogna, che chiedono qualcosa per poter mangiare la sera…

Nel sondaggio fatto da Cittainsieme l’anno scorso una grande percentuale dei cittadini intervistati dicevano che tutto era peggiorato.

In particolare:

Catania peggiorata: 63%, migliorata 11%, come prima 25.

Quartieri periferici: peggiorata la situazione 44%, migliorata 7, uguale 41;

Traffico: Peggiorato 70%, uguale, 20, migliorato 2

Verde: Peggiorato 69%, uguale 30, migliorato 8.

Scuole: Peggiorato 38%, uguale 42%, migliorato 6;

Parlare con gli amministratori: più difficile 44, come prima 32, più facile 7;

La gente si interessa: di meno 52%, come prima 31, più di prima 14;

Gli amministratori mangiano: sì 73%, no 7%,

Più di prima 44, come prima 27, meno di prima 2.

Clientelismo: più di prima 60%, come prima 25%, mano 4;

Nettezza urbana: peggio 65%, uguale 18, meglio 11;

Possibilità di lavoro: come prima 48%, più di prima 35, meno 8;

Trasporti: peggio 40%, uguali 36, meglio 19;

Ma il sindaco sentenziò, in una televisione privata, che il sondaggio era manipolato e quindi inattendibile.

Una città, in sintesi, da centro all’hinterland in preda ad uno sviluppo urbanistico selvaggio, con poche industrie, e con alcune di queste in crisi, città di terziario e di servizi, città più che di produzione di mercato, carente di servizi adeguati, divisa in due, quartieri periferici e a rischio da un lato e città “bene” dall’altro, in mano ad una classe politica che sembra connettersi organicamente ai poteri forti della città, priva di un vero dibattito politico, condizionata da una informazione a senso unico e monopolizzata che fa passare sull’unico giornale locale ad ampia diffusione e sulle televisioni private tutte riconducibili ad un unico padrone solo quello che vuole e che fa comodo al sistema, inquinata dalla mafia ed in questi ultimi tempi attraversata da inquietanti collusioni che sembra coinvolgano politica, imprenditoria e Palazzo di giustizia: è il cosiddetto “caso Catania”, sul quale si addensano molte ombre e poche luci…

QUALI LE CAUSE DI QUESTO STATO DI COSE DELLA CITTÀ’ DELLA ECONOMIA CATANESE?

Di chi la colpa?

Di Scapagnini?

Di Bianco?

Di Lo presti, Di Ziccone, di Marcoccio, dell’on. Magrì, di Adamo ed Eva?

Proprio ad Adamo ed Eva dovremmo risalire.

Le radici di questa situazione fanno parte del sottosviluppo del sud e della Sicilia in particolare e affondano le loro radici nella cosiddetta questione meridionale.

Dovremmo andare a scomodare Jacini, Franchertti e Sonnino, fra quanti, alla fine dell’ 800, pochi anni dopo l’unità d’Italia, si sono posti il problema delle due Italie, e di due modelli di sviluppo.

Ma la situazione economica catanese si inquadra non solo nelle più ampia “questione meridionale” ma ha delle distorsioni specifiche che la caratterizzano diversamente delle altre grandi città meridionali.

Dalla ripresa postbellica, all’entusiasmo della Milano del sud, si passa negli anni ’70, alle amministrazioni democristiane della città, ed al lento ma inesorabile consolidarsi di uno strano modello di economia assistita dallo stato e gestita da politici affaristi, da imprenditori senza scrupoli e da mafiosi che usano ed approfittano die primi e dei secondo.

I “comitati d’affari” non sono un’invenzione di Giuseppe Fava, sono la causa della sua morte.

Non sto qui a fare un’analisi anche solo superficiale, delle cause del nostro sottosviluppo.

Non è il luogo, non c’è il tempo, non sono un esperto in materia.

Ma tutti ricordiamo per esperienza diretta come procedeva a gonfie vele negli anni ’80 il sistema della corruzione.

Ricordate quel volume di Franco Cazzola intitolato proprio “Della corruzione”. L’autore venne a presentarlo al Liceo scientifico di Scordia, dove, in quegli anni, insegnavo: Interessante la domanda di uno degli allievi: Ma questa corruzione come danneggia i cittadini e l’economia?

Ed Cazzola, che se ne intendeva, lo dimostrò, numeri alla mano.

Il libro ancora esiste, si può consultare.

Poi il crollo, i cavalieri, tangentopoli e la crisi della economia della città, tanto da far rimpiangere (ed ogni tanto Tony Zermo ce lo ricorda) la mafia e i cavalieri del lavoro che almeno producevano occupazione.

Una economia assistita dallo stato, mangiatoia per i politici, priva di spirito imprenditoriale e di capacità di rischio. Un capitalismo “alla siciliana” per intenderci di cui non sappiamo se ci siamo liberati.

Ma un’altra economia, al posto di quella, non è decollata.

Prova ne è il tasso di disoccupazione, particolarmente giovanile, fra i più alti di tutto il meridione, prova ne è il senso di insicurezza e di precarietà nel quale vivono non solo i nostri giovani, ma molte famiglie oggi, il cui capofamiglia è privato del suo posto di lavoro.

Ma al di là del disagio economico ciò che sembra essere veramente cambiato, da alcuni anni a questa parte è il clima della nostra città.

L’aria che si respira, è profondamente diversa da quella di 10/12 anni fa.

Ricordo, ad iniziativa di Vittorio Consoli, un dibattito aperto sul giornale “La Sicilia” il 9 luglio del 1989: “Stimoliamo la fantasia per rifondare Catania”.

Per alcuni mesi, con decorrenza quasi giornaliera, imprenditori, politici, magistrati, sindacalisti, associazioni, semplici cittadini hanno fatto a gara per pensare, per proporre, per suggerire una Catania diversa da quella in cui mettevano ogni giorno i piedi.

C’era un clima di novità, un desiderio di cambiamento, una partecipazione corale, sincera o interessata, non so,. ma c’era.

Fu questo l’humus all’interno del quale nacque l’idea del patto per Catania e l’esperienza della seconda Giunta Bianco, che però dopo i primi tempi, cominciò a scontentare anche quelli che la avevano promossa.

Forse perché ci si aspettava utopisticamente di più di quanto che quella classe politica poteva offrire, forse perché il progetto, confezionato in una certa maniera, andò perdendo pezzi per strada, forse perché è inutile aspettarsi dai politici quanto non possono dare, forse perché…vallo a sapere…

Non siamo riusciti ancora, liberi da passioni e risentimenti, a produrre una riflessione politica serena su questa esperienza nella nostra città.

Manifestammo questo stato d’animo il 29 luglio del 1999 quando a Bianco venne la luminosa idea di celebrare a Palazzo Biscari, il decennale della sua sindacatura.

In quella occasione, alienandoci certamente le simpatie del sindaco e di tanti altri, abbiamo denunziato con chiarezza alcuni aspetti già evidenti del deterioramento politico della città.

Denunziammo, l’allontanamento fra città e amministratori, l’opacizzazione della “trasparenza”, che era stata proclamata come il metodo di governo della città.

· Denunziammo l’abbandono delle periferie al loro destino. Avremmo preferito, – abbiamo detto allora – nella gestione delle risorse della città, un’attenzione più vera ai bisogni delle periferie. Catania era e resta una città divisa in due: da una parte un città più o meno vivibile, dall’altra una città degradata. Era necessario fare della Catania dei pub e della Catania della delinquenza e del disagio minorile, una sola città.

Denunziammo la forte diminuzione, della partecipazione, della coscienza civile dei cittadini.

Abbiamo detto: La nostra è una città senza dibattito politico, una città che dopo una crescita straordinaria, fatta di interesse, di partecipazione, di coinvolgimento della gente si è fermata… In tutti, e specialmente nei giovani, è calato l’interesse per la politica disinteressata, quella politica che cerca il bene di tutti, il modo di far politica è tornato, grazie anche al clima nazionale, quello di una volta: la difesa dei propri interessi.

La presenza monopolistica di un solo giornale, il disinteresse totale delle televisioni private per il dibattito sui grandi temi della città lo abbiamo già sottolineato, e lo denunziammo anche in quella occasione.

Il distacco fra i partiti e la gente: allora nelle provinciali del 1998 ora nelle elezioni prossime venture, tutto viene deciso nelle segreterie dei partiti, attraverso logiche di appartenenza e alchimie politiche, al di là di qualunque coinvolgimento dal basso.

Ma ciò che soprattutto ci preoccupa, abbiamo ancora aggiunto, è il progressivo ritorno delle vecchie facce della politica, l’infiltrazione della mafia negli appalti pubblici e la ripresa in grande del clientelismo.

Parole dette nell’99, cui fa eco il titolo della Sicilia di due giorni addietro, mercoledì 19 febbraio,: Pace in nome degli appalti pubblici: mafia negli appalti e nei subappalti)

In gioco “u travagghiuni” e i soldi del riassetto del litorale della Plaia.

Da tutto ciò allora il timore di allora e di oggi: che, occultamente, si vada riorganizzando a Catania, seppure in forme diverse e con modalità molto più sofisticate, un nuovo sistema di potere e di monopolio della pubblica opinione.

Enzo Bianco, il primo ottobre del 1989, quando già cominciavano le manovre per farlo cadere, rilasciò un’intervista a Pietro Calderoni di Epoca.

“Il vero problema qui a Catania sono i soldi, sempre e solo i soldi. I soldi e gli affari. In città stanno per piovere, fra finanziamenti e stanziamenti mille miliardi di investimenti l’anno. Questo è il problema. La richiesta delle mie dimissioni solo la conseguenza dell’arrivo di questa valanga di denaro. Non a caso il Procuratore generale presso la Corte d’Appello ha parlato di collusioni fra il mondo degli affari, mondo della malavita e mondo della politica.

Se queste erano le denunce del ’99 non crediamo che con Scapagnini qualcosa sia migliorato.

E’ migliorato il fumo negli occhi, è migliorata la presa in giro. È migliorata certamente la turlupinatura dei cittadini.

Un esempio per tutti:

Sicilia di ieri, giovedì 20 febbraio
Catania in vetrina. Lo stand del comune di Catania allestito alai Fiera di Milano nell’ambito della manifestazione “Progetto città”, mostra della architettura, dell’urbanistica, delle tecnologie e dei servizi per lo sviluppo del territorio.

Così recita una nota di Palazzo degli elefanti:

Catania, risolte (attenti a questo participio passato) le problematiche interne, dal degrado delle periferie, al nuovo assetto della mobilità, alla ristrutturazione dei beni artistici, al recupero delle strutture di primaria importanza, ha l’ambizione di lanciarsi verso un progetto più ampio: essere il vero e proprio ponte dell’Europa nel Mediterraneo.

Solo una osservazione di elementare analisi grammaticale.

“risolte”.

Cosa vuol dire?

Essendo state risolte o “quando saranno risolte”?

Dalla nota non si capisce. Chi va a visitare quello stand a Milano, non sa nulla della telenovela del Piano regolatore, del caotico traffico catanese, del degrado delle periferie.

Vede una Catania in vetrina, come noi in vetrina vediamo un manichino.

Ma l’amministrazione è convinta:

Sono quattro giorni in cui Catania potrà mostrare il meglio di sé… un ulteriore tassello in quel grande mosaico che, nel volgere di pochi anni, porterà la nostra città ad assumere un ruolo di primo piano nel contesto europeo e, perfino, in quello più ampio dell’intera area del Mediterraneo.

Vorremmo poterci credere.

Peccato che non ci siano qui questa sera i nostri amministratori per convincerci, dati alla mano, di questo futuro che, nelle loro intenzioni, si realizzerà nel volgere di pochi anni.

Ed allora anche quei prevenuti che analizzeranno (quando? Nel 2006, nel 2010, nel 2020?) la vivibilità delle città italiane, dovranno ricredersi.

Catania è al primo posto.

Non dobbiamo convincerci del contrario.

Tutt’altro: anche noi dobbiamo sognare una Catania diversa.

Solo che non ce la possiamo aspettare da questa giunta, da questi politici, da questa amministrazione, a mano di credere in un’intesa personale fra il sindaco e sant’Agata.

Stasera porteremo le nostre testimonianza, documentate, sulla nostra città.

Purtroppo, nonostante lo stand di Milano, non siamo ottimisti, né sull’immediato né sul medio termine.

Anche noi vogliamo insieme, e realisticamente, immaginare un’altra città, diversa da quella esistente, e diversa da quella che hanno in mente i nostri attuali amministratori, (ammesso che siano capaci i nostri amministratori di avere in testa un modello di città).

Le proposte che speriamo usciranno da questa assemblea e da quella di venerdì prossimo, andrebbero coniugate, confrontate, con altre proposte che circolano in città: mi riferisco in particolare a quella dal Catania Social forum elaborata qualche mese addietro, e di cui sconosco gli esiti.

La convenzione per la Città elaborata dal Social Forum metteva a fuoco due proposte interessanti, due condizioni, per “riprendersi la città”:

a) l’inchiesta sulla realtà di Catania.

b) L’intreccio fra ‘analisi della città, suo sviluppo e degrado, con i poteri economici, politici e mafiosi che fanno capo al “caso Catania”.

Vorrei accennare ad un altro problema:

Anche se saremo capaci di elaborare proposte, a chi le affideremo?

Abbiamo uomini di cui fidarci, capaci di realizzare queste proposte?

Come conciliare il futuro di Catania costruito tenendo conto delle reali esigenze della gente, con gli interessi di quanti hanno invece un altro interesse: quello di mettere le mani sulla città?

Dobbiamo limitarci ad elaborare proposte, o dobbiamo anche preoccuparci di cercare gli uomini capaci di realizzarle?

I problemi, e mi fermo qui, sono tanti.

Auguriamoci, non dico di trovare subito e a tutto le risposte ma, a partire da questa sera, almeno, di individuare una strada, un metodo, una via per continuare a cercarle insieme.

Salvatore Resca
21 febbraio 2003